L'UNIONE SARDA - Economia: La disoccupazione riprende a correre
L’Italia migliora, la Sardegna no.
L’isola appare in controtendenza sul fronte dell’occupazione. Il tasso di disoccupazione, a livello nazionale, scende ai minimi dal ’93, mentre nell’ultimo trimestre del 2007 nella nostra regione si è registrato un consistente aumento dei disoccupati: a dicembre sono stati 18 mila in più rispetto a settembre. L’allarme lanciato dunque nei giorni scorsi da sindacati e imprese viene confermato dai dati dell’Istat sull’occupazione. Numeri che peraltro descrivono ancora un quadro pre-crisi, nel senso che fotografano la situazione al 31 dicembre del 2007, quando le turbolenze internazionali non avevano ancora investito in modo così violento i Paesi europei, rispolverando lo spettro della recessione.
È proprio di ieri la notizia che sia l’Ocse (Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico) e il Fondo monetario internazionale hanno tagliato le stime di crescita per l’Italia: per il 2008 si è passati all’1,1% contro l’1,3% indicato nelle stime diffuse a dicembre (crescita del Pil dello 0,3% sia nel primo sia nel secondo trimestre di quest’anno).
Secondo il Fondo monetario internazionale il Pil italiano progredirà quest’anno dello 0,6%, ovvero 0,7 punti percentuali in meno rispetto alle previsioni ufficiali di ottobre scorso.
LA SARDEGNA. Per l’isola tuttavia la recessione, come denunciano i sindacati che chiedono una svolta alla Giunta Soru, sembra essere iniziata prima ancora del 2008. Almeno a vedere i dati dell’Istat sull’occupazione. Nonostante la media dell’anno scorso faccia segnare un 9,9% per quanto riguarda il tasso di disoccupazione, l’andamento del mercato del lavoro nell’ultimo trimestre dello scorso anno mostra una congiuntura molto negativa. Senza dimenticare, inoltre, che continuano a crescere le persone che si allontanano dal mercato del lavoro. Nel quarto trimestre del 2007, infatti, il tasso di disoccupazione in Sardegna ha toccato quota 11,2%, in crescita sia rispetto allo stesso periodo del 2006 (era al 10,6%), che al terzo trimestre dello scorso anno. Al 30 settembre, infatti, il tasso di disoccupazione in Sardegna aveva fatto segnare un 8,7%, diventato appunto 11,2% il 31 dicembre. Insomma, la disoccupazione riprende a correre soprattutto grazie all’incremento del numero delle donne che non trovano lavoro. La disoccupazione femminile, infatti, è passata dal 13% del dicembre 2006 al 15,7% della fine 2007 (sono cresciute di 7.000 unità le donne che cercano un lavoro). Gli occupati, nell’isola, sono circa 9.000 in meno rispetto allo stesso periodo del 2006, mentre sono oltre 11.0000 i posti di lavoro persi tra settembre e dicembre dello scorso anno. Continuano ad aumentare, di circa duemila unità, le persone che non cercano più un’occupazione (scoraggiati).
I SETTORI. La crisi dell’isola si riflette un po’ in tutti i settori produttivi. Se da un lato, segnala l’Istat, l’agricoltura migliora rispetto all’anno precedente, ma non nel confronto con il terzo trimestre del 2007, così come diminuisce l’occupazione anche nell’industria e resta stabile nelle costruzioni (sempre nello stesso periodo di riferimento), una vera e propria ecatombe di addetti si registra nei servizi. I posti persi sono oltre 24.000 e oltre 10.000 riguardano il settore del commercio in senso stretto. Insomma, la rincorsa non c’è e la Sardegna continua a soffrire. E non poco.
IL DATO ITALIANO. Il confronto con il resto del Paese, inoltre, è impietoso. Alla fine del 2007, infatti, il tasso di disoccupazione è sceso ai livelli minimi dal ’93. Di contro, aumentano i disoccupati tra i giovani dopo un biennio positivo, ed è record di donne inattive al Sud: 4,5 milioni. Alla crescita dell’occupazione in tutto il Paese hanno contribuito in modo determinante soprattutto gli immigrati. L’Istat rileva che aumenta il numero degli occupati nel quarto trimestre 2007: un incremento dell’1,3%, pari a 308.000 occupati in più dall’ultimo trimestre 2006 all’ultimo trimestre 2007. Nella media annua, si registra un +1% dell’occupazione, pari a 234.000 unità in più rispetto al 2006. Tanto che scende al 6,1% il tasso annuo di disoccupazione (dal 6,8% del 2006). E su questo dato influisce positivamente il Mezzogiorno. Cresce tuttavia anche il numero degli inattivi in età produttiva: +1,1% la media 2007. Anche se gli immigrati sono determinanti per chiudere l’anno con un andamento positivo, nonostante il tasso di disoccupazione giovanile sia aumentato dal 22,6% del quarto trimestre 2006 all’attuale 23,2%.
19 marzo 2008
Senza lavoro più di 160000 Sardi
L'UNIONE SARDA - Economia: «Senza lavoro più di 160 mila sardi»
La Cisl denuncia la crisi dell'occupazione nell'isola
Ieri la Cisl ha presentato il manifesto per il lavoro, documento che contiene le strategie per superare la crisi nell'isola. Meno precariato e più occupazione. Sono questi gli obiettivi del manifesto per il lavoro della Cisl Sardegna, documento illustrato ieri a Cagliari dal segretario generale Mario Medde, alla presenza di Giorgio Santini, il segretario confederale del sindacato. Nell'isola la contabilità della crisi è allarmante.
I NUMERI Sono oltre 160 mila - secondo la Cisl - i sardi delusi che non riescono a trovare un posto. Anche l'avviamento al lavoro fotografa uno scenario cupo. Dal primo trimestre 2006 al terzo trimestre 2007, l'80% delle assunzioni è avvenuto attraverso contratti a tempo determinato: solo nel periodo compreso tra luglio e settembre dello scorso anno, su 23.273 persone assunte, poco meno di 18.000 hanno trovato un'occupazione a scadenza. E non è tutto. Altri dati presentati ieri dalla Cisl gettano luce sulle difficoltà dell'industria isolana: oggi 5.000 lavoratori si trovano in cassa integrazione e mobilità in deroga, con stipendi mensili che non raggiungono i 1000 euro. Ma l'elenco non è finito. I bassi salari, e di conseguenza le pensioni, sono un'altra caratteristica della Sardegna, dove si registrano, come nel Sud Italia, 22 punti percentuali in meno rispetto alle aree del Centro-Nord.
LA DISOCCUPAZIONE Il disagio è vissuto soprattutto dai giovani e dalle donne. «Nel primo caso», si legge nel documento della Cisl, presentato da Mario Medde, «il tasso di disoccupazione in Sardegna è del 32,6%, pari a quasi 20 punti percentuali in più rispetto a quello medio nazionale, mentre tra le donne si attesta al 38,6%, ben lontano dal 24% rilevato nel resto d'Italia». E la distanza appare ancora maggiore se come metro di riferimento si utilizzano gli obiettivi di Lisbona (tasso di occupazione al 70% entro il 2010 in Europa). «È un lungo cammino che deve iniziare con l'incentivazione delle assunzioni nel Mezzogiorno», commenta Giorgio Santini. In che modo? «Il prossimo governo dovrà puntare sui crediti d'imposta per l'occupazione, sul raccordo fra formazione e lavoro, e su politiche di sviluppo serie e durature». LE PRIORITÀ Insomma, le difficoltà del mercato del lavoro sono al primo posto nella agenda della Cisl. Il sindacato sardo, in linea con la posizione di Giorgio Santini, ha riassunto in sei direttrici la strategia per invertire la tendenza negativa: politiche di sviluppo, piena occupazione, capitale umano, sistemi di istruzione, formazione e orientamento, pari opportunità e rafforzamento dei servizi presidenziali, assistenziali e di welfare. Sei punti da cui avviare un processo di cambiamento «che generi», sottolinea Mario Medde, «più quantità e qualità dei posti di lavoro». Secondo il leader regionale della Cisl, «i ritardi dell'economia e della società sarda non sono dovuti, come sostengono alcuni, al peso abnorme del costo del lavoro e della spesa sociale, ma alla scarsa produttività del sistema, che penalizza fortemente il capitale umano e sociale, oltre alla poca capacità di innovazione e all'inconsistenza dei servizi alle imprese».
LA CRISI Ma i problemi del lavoro, dei redditi e della povertà in generale hanno un comune denominatore: la crisi economica. «Dal 2003 al 2006», precisa Medde, «il Pil regionale è cresciuto appena dello 0,57% all'anno, la metà di quello nazionale (+1,05%). Tutti i settori produttivi, ricorda il numero uno della Cisl, cedono il passo. Nell'agricoltura il valore aggiunto (ovvero la produzione annua di nuovi beni e servizi) diminuisce del 2,5% all'anno, mentre in Italia aumenta dell'1,9%. In flessione (-0,6%) anche il valore aggiunto dell'industria manifatturiera e delle costruzioni (-0,9%). Stesso discorso per il turismo, che registra un calo delle presenze - fra il 2003 e il 2006 - pari allo 0,1%, in controtendenza rispetto al dato nazionale (+2,6%).
LA FINANZIARIA Infine, sul fronte del lavoro, la Regione ha attuato l'articolo 6 della legge finanziaria regionale 2008 sulle nuove politiche per l'occupazione. La Giunta ha approvato il bilancio dell'Agenzia regionale del lavoro, con oltre 60 milioni di euro, e ha dato anche l'ok alla costituzione del fondo regionale per gli ammortizzatori sociali a favore dei lavoratori colpiti da licenziamenti o sospensioni di lavoro. Il fondo, inizialmente, sarà alimentato con 3 milioni di euro.
LANFRANCO OLIVIERI - L'Unione Sarda 19/03/2008
La Cisl denuncia la crisi dell'occupazione nell'isola
Ieri la Cisl ha presentato il manifesto per il lavoro, documento che contiene le strategie per superare la crisi nell'isola. Meno precariato e più occupazione. Sono questi gli obiettivi del manifesto per il lavoro della Cisl Sardegna, documento illustrato ieri a Cagliari dal segretario generale Mario Medde, alla presenza di Giorgio Santini, il segretario confederale del sindacato. Nell'isola la contabilità della crisi è allarmante.
I NUMERI Sono oltre 160 mila - secondo la Cisl - i sardi delusi che non riescono a trovare un posto. Anche l'avviamento al lavoro fotografa uno scenario cupo. Dal primo trimestre 2006 al terzo trimestre 2007, l'80% delle assunzioni è avvenuto attraverso contratti a tempo determinato: solo nel periodo compreso tra luglio e settembre dello scorso anno, su 23.273 persone assunte, poco meno di 18.000 hanno trovato un'occupazione a scadenza. E non è tutto. Altri dati presentati ieri dalla Cisl gettano luce sulle difficoltà dell'industria isolana: oggi 5.000 lavoratori si trovano in cassa integrazione e mobilità in deroga, con stipendi mensili che non raggiungono i 1000 euro. Ma l'elenco non è finito. I bassi salari, e di conseguenza le pensioni, sono un'altra caratteristica della Sardegna, dove si registrano, come nel Sud Italia, 22 punti percentuali in meno rispetto alle aree del Centro-Nord.
LA DISOCCUPAZIONE Il disagio è vissuto soprattutto dai giovani e dalle donne. «Nel primo caso», si legge nel documento della Cisl, presentato da Mario Medde, «il tasso di disoccupazione in Sardegna è del 32,6%, pari a quasi 20 punti percentuali in più rispetto a quello medio nazionale, mentre tra le donne si attesta al 38,6%, ben lontano dal 24% rilevato nel resto d'Italia». E la distanza appare ancora maggiore se come metro di riferimento si utilizzano gli obiettivi di Lisbona (tasso di occupazione al 70% entro il 2010 in Europa). «È un lungo cammino che deve iniziare con l'incentivazione delle assunzioni nel Mezzogiorno», commenta Giorgio Santini. In che modo? «Il prossimo governo dovrà puntare sui crediti d'imposta per l'occupazione, sul raccordo fra formazione e lavoro, e su politiche di sviluppo serie e durature». LE PRIORITÀ Insomma, le difficoltà del mercato del lavoro sono al primo posto nella agenda della Cisl. Il sindacato sardo, in linea con la posizione di Giorgio Santini, ha riassunto in sei direttrici la strategia per invertire la tendenza negativa: politiche di sviluppo, piena occupazione, capitale umano, sistemi di istruzione, formazione e orientamento, pari opportunità e rafforzamento dei servizi presidenziali, assistenziali e di welfare. Sei punti da cui avviare un processo di cambiamento «che generi», sottolinea Mario Medde, «più quantità e qualità dei posti di lavoro». Secondo il leader regionale della Cisl, «i ritardi dell'economia e della società sarda non sono dovuti, come sostengono alcuni, al peso abnorme del costo del lavoro e della spesa sociale, ma alla scarsa produttività del sistema, che penalizza fortemente il capitale umano e sociale, oltre alla poca capacità di innovazione e all'inconsistenza dei servizi alle imprese».
LA CRISI Ma i problemi del lavoro, dei redditi e della povertà in generale hanno un comune denominatore: la crisi economica. «Dal 2003 al 2006», precisa Medde, «il Pil regionale è cresciuto appena dello 0,57% all'anno, la metà di quello nazionale (+1,05%). Tutti i settori produttivi, ricorda il numero uno della Cisl, cedono il passo. Nell'agricoltura il valore aggiunto (ovvero la produzione annua di nuovi beni e servizi) diminuisce del 2,5% all'anno, mentre in Italia aumenta dell'1,9%. In flessione (-0,6%) anche il valore aggiunto dell'industria manifatturiera e delle costruzioni (-0,9%). Stesso discorso per il turismo, che registra un calo delle presenze - fra il 2003 e il 2006 - pari allo 0,1%, in controtendenza rispetto al dato nazionale (+2,6%).
LA FINANZIARIA Infine, sul fronte del lavoro, la Regione ha attuato l'articolo 6 della legge finanziaria regionale 2008 sulle nuove politiche per l'occupazione. La Giunta ha approvato il bilancio dell'Agenzia regionale del lavoro, con oltre 60 milioni di euro, e ha dato anche l'ok alla costituzione del fondo regionale per gli ammortizzatori sociali a favore dei lavoratori colpiti da licenziamenti o sospensioni di lavoro. Il fondo, inizialmente, sarà alimentato con 3 milioni di euro.
LANFRANCO OLIVIERI - L'Unione Sarda 19/03/2008
1 marzo 2008
La fuga del Made in Italy
di Alberto Grimelli (FONTE)
Il sistema agroalimentare nazionale è florido, in salute, ha un’immagine vincente sui mercati internazionali, ma è sempre meno italiano.Molti importanti marchi agroalimentari sono finiti nelle mani di multinazionali o di imprese straniere. Di per sé questo fatto non è una male. Se la nostra classe dirigente e imprenditoriale non è in grado di gestire proficuamente italianissimi brand, è giusto che siano altri manager, altri Board a farlo e a trarne ottimi guadagni.Un campanello d’allarme, forte e chiaro, suona però quando le aziende agroalimentari, siano italiane o estere, vogliono cessare alcune attività produttive o cedere alcuni propri stabilimenti in Italia.Il nostro Paese attrae pochi investimenti e sono diverse le multinazionali che hanno manifestato preoccupazioni per l’instabilità politica e le condizioni sociali e economiche in Italia.In alcuni casi, come per la Coca Cola, tale apprensione si traduce in dichiarazioni e comunicati stampa, in altri nella chiusura o vendita di siti produttivi.E’ il caso, recentemente, della Buitoni di Sansepolcro (AR) e dell’Algida di Cagliari.Talvolta questi stabilimenti vengono acquisiti da altre aziende agroalimentari, una normale dinamica di mercato, ma la guardia va mantenuta alta. Occorre vigilare perché questa fuga dall’Italia non rappresenti una fuga dal Made in Italy. L’immagine del cibo e della gastronomia italiana nel mondo è trionfante, costruita attraverso un lungo lavoro di marketing e di promozione, e fondata, specie sui mercati emergenti, sui nostri grandi marchi.Dopo il grande lavoro di penetrazione commerciale operata da brand quali i già citati Buitoni o Algida, italianissime piccole e medie imprese con prodotti di qualità e tipici hanno acquisito importanti quote di mercato, rafforzando l’immagine del Made in Italy a beneficio anche dei grandi marchi.Un circolo virtuoso, una catena che però rischia di spezzarsi a causa della debolezza di uno dei suoi anelli.Se, infatti, i grandi marchi sono sempre meno italiani, non solo perché in mani straniere ma anche a causa della delocalizzazione delle produzioni, fino a quando l’immagine del nostro Made in Italy agroalimentare resterà vincente?
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