Fonte:l'altravoce.net
di Sergio Diana
Ho sempre pensato che i comizi elettorali servono a poco. Per il semplice motivo che vi si dicono e ripetono cose che il pubblico sa già. Prendete ieri a Cagliari. Piazza Garibaldi gremita, folla festante, bandiere, “democratici” ad ascoltare Veltroni. Poco più in giù, piazza del Carmine gremita, folla festante, bandiere, gente di destra ad ascoltare Fini. La destra parla alla destra, i “democratici” parlano ai democratici. Stesso copione, stessi contenuti. Ma se l'obiettivo è convincere qualcuno/a a votare questo o quel partito che bisogno c'è? Se quella gente è li ad ascoltarli non significa forse che, ovviamente, voterà per loro? Si, ci possono essere anche gli indecisi. Ma come fanno a partecipare a due comizi contemporaneamente?
Mi sento più a destra…Vado a sentire Fini. No, Veltroni mi piace, vado a sentire lui... In parecchi resteranno a casa. Io sono andato a sentire Veltroni. Per puro divertimento mi sono finto “indeciso di sinistra, pronto al voto utile”. Grazie a un piccolo artifizio Zen ho sgomberato la mia mente dalle mie convinzioni e dai miei pregiudizi di comunista. Con mente e animo aperti mi sono dunque presentato puntuale sotto il palco: vediamo se mi stupisce; vediamo se mi convince. Sono tornato a casa più comunista che mai.
Sono tornato a casa con la ferma convinzione che con il PD al governo non cambierà nulla e che il nostro povero Paese, nelle condizioni della zattera di Géricault è, e così continuerà a navigare. Non affonderà. Grazie alla forza di quei pochi uomini e donne di mare che danno e daranno tutto per mantenerla a galla.
Perché il buon Veltroni non mi ha convinto? Forse perché pur parlando ai sardi, della Sardegna non ha parlato, a parte qualche scontato riferimento alla nostra storia recente ed alla cattedrale nel deserto di Pula.
Ma forse io mi aspettavo un saluto ai giovani dell'Unilever-Algida che, poveri loro, esibivano davanti a lui uno striscione in cui chiedevano aiuto, e magari mi aspettavo due cosette in tema di riconversione seria delle nostre aziende in crisi, invece di mendicare cordate di salvataggio o flebo di soldi pubblici. Oppure auspicavo, in tema di sicurezza, un riferimento ai morti di faida in Sardegna, che tutte le mafie d'Italia ci invidiano.
Forse due cosucce sul proposito del PD di investire sul nucleare e, soprattutto, su dove finiranno le scorie. Oppure due paroline sul raddoppio del poligono di Quirra, fortemente voluto da qualche zelante protosardo del suo partito. Probabilmente, invece che del riferimento al solito “sviluppo”, alla “crescita”, alla competitività, all'aumento del PIL, mi sarei aspettato un riferimento alla Sardegna come laboratorio di decrescita. È laboratorio di tutto, di troppo, eccetto per ciò di cui è più dotata: il silenzio, la pace, la natura, la bellezza, la lentezza.
Ma in un comizio non si può dire di tutto. Forse, per convincermi, avrei preferito non sentire la solita, stupida, ossessiva litania che aumentare le pensioni e gli stipendi serve a far aumentare i consumi, e non a far star meglio la gente. Interessante la proposta di ridurre il numero delle leggi; peccato che se siamo il Paese che, in Europa, ha più leggi degli altri ci sarà pure un motivo! E del fatto che dobbiamo regolamentare tutto perché non ci possiamo fidare gli uni degli altri, Walter non ne ha parlato. Ma in un comizio non si può dire di tutto.
Poi, verso la fine, un sussulto! «Vogliamo cambiare il modo di fare politica»! Senti, senti, qui si fa sul serio, mi son detto. E vai con l'apologia dei meriti e della “novità” che il PD rappresenterebbe sulla scena politica nazionale. Un unico partito, un unico programma per rendere l'Italia finalmente governabile. Il tutto grazie al fatto di essere riuscito a liberarsi (per carità: «reciprocamente») della “sinistra estrema”. Chissà se ci crede veramente. In ogni caso bastava guardarsi intorno per capire. La ex sinistra sarda, il nuovo che avanza, era accalcato nel lato destro ma fuori dal palco. Si notava che, in disparte, soffrivano. Sul palco, Renato Soru, citato più volte, sembrava lui il segretario del PD. Cabras, in sordina, se la rideva sotto i baffetti.
Parla, parla, alla fine mi stavo stancando e, vi giuro, stavo per urlargli: «A Walter, dicce quarcosa che già nun sapemo!». Se po' fa'. Finito! Applausi, sventolio di bandiere e, dulcis in fundo, tutti a cantare l'inno di Mameli con la mano sul cuore. Commovente. Sembrava di essere allo stadio. Già, lo stadio. È li che tutti ci sentiamo italiani. È li che viene fuori il sentimento nazionale. È li che gli italiani e le italiane amano il loro Paese più di qualsiasi altra cosa. Bella trovata! Per farci sentire italiani Walter ci porta allo stadio. È così che si cambia l'Italia!
Mentre mi allontanavo dalla piazza e le mie difese Zen iniziavano a venir meno, mi son chiesto: ma cosa avrebbe dovuto dire il povero Walter per convincerti?
Non so… Forse mi avrebbe convinto sentire per la prima volta qualcuno che, con coraggio e sinceramente, diceva in faccia alla sua gente come stanno veramente le cose. Che il nostro è un Paese malato; che se il Paese è malato è malata la sua gente; che se non guarisce la sua gente non guarisce neppure il Paese. Che se vogliamo cambiare veramente l'Italia ed il modo di far politica occorre dire basta col dare la colpa ai politici ed alla politica! Ogni Paese ha la classe politica che si merita! Noi ci meritiamo questa. Se vogliamo di più; se vogliamo di meglio... dobbiamo cambiare noi stessi!
Sarebbe stato bello e convincente - meglio dell'inno di Mameli - sentire che il primo, il più importante e il più massiccio investimento che farà il governo sarà in RI-EDUCAZIONE degli italiani e delle italiane. RI-EDUCAZIONE per cambiare radicalmente la nostra mentalità orientandola non più verso i comuni, radicati principi del fottere il prossimo e dell'alienazione dei/delle cittadini/e dalla cosa pubblica ma verso l'amore ed il rispetto per il proprio Paese e per chi ci vive, inclusi coloro che accogliamo dai paesi impoveriti…
Purtroppo queste cose Veltroni non le ha dette. Ma nei comizi non si può dire di tutto.