La 3A Arborea non compra, trattative con la cordata sarda: si va in Regione
CAGLIARI.Al momento, la 3A Arborea non ha alcuna intenzione di rilevare lo stabilimento Algida, chiuso dalla Unilever a fine dicembre. È questa una delle maggiori novità emerse ieri mattina durante l’incontro tra l’assessore regionale all’Industria Concetta Rau e i rappresentanti dei lavoratori entrati in cassa integrazione dopo la serrata degli impianti di viale Marconi. L’esponente della giunta Soru ha confermato gli abboccamenti con i vertici della 3A, ma finora sembra non ci sia alcun margine per l’eventuale acquisizione degli impianti. In parallelo però, vanno avanti gli incontri con i rappresentanti della cordata sarda che già nei mesi scorsi, alla notizia della possibile cessione dello stabilimento Algida, avevano contattato i delegati della Unilever per l’eventuale acquisto degli impianti. In merito c’è il più assoluto riserbo. Si sa soltanto che il piano industriale stilato dalla cordata isolana non è ben visto dalla Unilever, soprattutto per quanto riguarda i livelli di produzione. Secondo quanto riferito dai rappresentanti del colosso anglo-olandese, la linea produttiva sarebbe garantita per soli tre mesi l’anno. E dunque: posti di lavoro a rischio e buste paga a dir poco leggere. Due aspetti fondamentali che lasciano comprensibilmente perplessi anche i sindacati. Ed è forse anche per questi motivi che la Regione, in parallelo, ha avviato i contatti diretti con la Unilever. Obiettivo dichiarato: riunire intorno allo stesso tavolo l’amministratore delegato della multinazionale, Maurizio Manca, i vertici della Sfirs e i rappresentanti dell’assessorato all’Industria. È quindi confermato il ruolo della finanziaria regionale in una partita che, tra dipendenti assunti a tempo indeterminato, stagionali e part-time, definirà il futuro di oltre centosessanta lavoratori. «La Regione deve sapere al più presto le reali intenzioni dell’azienda - ha commentato Sandro Scalas, della Fai Cisl - per cercare di favorire l’ingresso di un imprenditore con un serio piano industriale. Al momento stiamo brancolando nel buio, perché non siamo a conoscenza di una proposta certa in merito all’acquisizione degli impianti. L’unica certezza? I lavoratori in cassa integrazione, che possono contare su un assegno di ottocento euro al mese. Fatti i conti, è chiaro che la situazione non è più sostenibile». Per conoscere gli ultimi sviluppi della vicenda occorrerà attendere il 15 febbraio, data fissata per un nuovo incontro tra sindacati e assessore all’Industria. Tutti in attesa, dunque, con gli occhi puntati a Milano, nella speranza che i vertici della Unilever accettino l’invito della Regione e si definisca un piano d’azione per scongiurare la chiusura totale dello stabilimento. «Chiediamo alla Regione - ha concluso Scalas - di svolgere un ruolo attivo nella risoluzione della vertenza, anche tramite la Sfirs, e auspichiamo che tra quindici giorni si arrivi alla conclusione di questa vicenda e si restituisca un futuro certo ai lavoratori». Pablo Sole
A Cagliari la Unilever dismette uno stabilimento premiato per la produttività Il profitto, per il padrone di un'impresa, è tutto. Se gli affari vanno a gonfie vele, c'è sempre qualcosa che si può fare per tagliare i costi. Così, che un'azienda con il bilancio in attivo e che riceve premi per l'alta produttività, possa venire chiusa, nessuno se lo sarebbe aspettato. E, meno di tutti, i 75 operai che in quello stabilimento lavoravano. Tutto ha inizio un anno fa, quando l'Unilever, multinazionale leader nella produzione di alimenti e prodotti chimici (attraverso i marchi Algida, Findus, Lipton, Mentadent e numerosi altri), decide di «tagliare» 20.000 posti di lavoro in tutto il mondo.Trascorre un anno, e nonostante i lavoratori cagliaritani riescano ad aumentare la produzione, l'azienda decide per la mobilità a partire dal 1° gennaio 2008. A nulla vale un incontro a Rotterdam, il 4 dicembre, fra le delegazioni di tutta Europa e la dirigenza: per la sede di Cagliari viene ribadita la chiusura definitiva. Dal giorno dopo, tutti i lavoratori occupano l'impianto di viale Marconi, determinati a non lasciare che l'Unilever traslochi i macchinari altrove, in Romania, forse, dove si prospetta una nuova apertura. Per una volta, la politica e i sindacati non sono stati assenti: vi sono stati diversi incontri, anche a livello istituzionale, fra lavoratori, Regione, Provincia, sindacati e dirigenza, grazie ai quali si è potuto superare il vincolo posto inizialmente dalla Unilever della vendita dello stabilimento soltanto a ditte che non avrebbero ripreso la produzione di gelati. Condizione insormontabile per tutti: chi mai potrebbe avere interesse a spendere 8 milioni di euro (tale è la stima dello stabilimento) per acquistare una ditta di gelati senza poterli più produrre? Da alcuni giorni questo ricatto pare caduto, ma d'imprenditori, concretamente interessati, neppure l'ombra. Soru, che è stato in visita allo stabilimento, ha proposto l'ingresso della Regione, tramite la Sfirs (la finanziaria della Regione), per una quota dell'importo richiesto, con la rimanente parte coperta o da una cooperativa degli stessi lavoratori o da qualche imprenditore. Eppure la storia insegna che quasi sempre i presunti imprenditori hanno sempre costruito i propri impianti solo dopo ingenti aiuti statali, agevolazioni fiscali, deroghe ambientali. Salvo poi, una volta ottenuti gli aiuti, minacciare nuovamente la chiusura degli impianti e la delocalizzazione e battere cassa allo Stato facendo ripartire di nuovo il meccanismo vizioso.Il 19/12/2007, un incontro fra lavoratori, Unilever, Regione, Provincia ha portato alla sostituzione della mobilità con un anno di cassa integrazione: magra consolazione per una regione che ha già visto perdere oltre 1.200 posti di lavoro con la sola chiusura degli stabilimenti Legler (Siniscola, Ottana e Macomer) e Palmera (Olbia).E dire che l'Unilever, nel secondo trimestre di quest'anno, ha dichiarato utili in crescita del 16% e lo stabilimento cagliaritano, nel 2006, ha ricevuto il premio internazionale per la qualità totale e la cultura del miglioramento continuo. Gianluca Cogoni