Bertolli, il marchio di olio d'oliva numero uno al mondo – messo in vendita da Unilever insieme ad altri marchi – potrebbe tornare in mani italiane, posto che ci sia qualcuno disposto a investire almeno 6-700 milioni. E a prepararsi a un eventuale rilancio, se nella partita dovessero inserirsi gruppi esteri come gli spagnoli di Sos Cuetara che controllano Carapelli e che un anno fa hanno rilevato da Unilever il marchio Friol. Oppure i portoghesi della Nutrinvest, società familiare da 800 milioni di euro con interessi nell'olio di semi e d'oliva e che da tempo valuta opportunità in Italia.La decisione della multinazionale anglo-olandese di volere uscire dal business dell'olio di oliva (marchi Bertolli, Dante e San Giorgio) e di semi (Maya), nonchè delle conserve vegetali e delle confetture (Santa Rosa) per concentrarsi su attività industriali a filiera più breve e quindi più redditizie, non ha colto di sorpresa la business community alimentare presente al salone Cibus di Parma. «Indiscrezioni circolano da inizio anno – commenta Alfredo Mancianti, imprenditore oleario –. Quello che forse nessuno poteva conoscere è la modalità della cessione che, a quanto pare, Unilever vorrebbe con un'unica controparte. Ma quanti possono essere interessati contemporaneamente a olio, marmellate e passate di pomodoro?». Il giro d'affari viene stimato sui 600 milioni per l'area olio e sui 200 milioni per confetture e conserve.Sulla base di quanto dichiarato ieri dalla multinazionale olandese a Radiocor-Il Sole 24Ore, l'operazione riguarderebbe la vendita dello stabilimento di Inveruno, vicino a Milano, e i marchi Dante, Maya e Santa Rosa. Per Bertolli, che gli anglo-olandesi hanno in portafoglio dal 1995, quando rilevarono da Fisvi il business Cirio-Bertolli-DeRica, la formula sarebbe quella della concessione perpetua all'acquirente, riservando a Unilever l'uso dello stesso marchio per altri prodotti diversi dall'olio, una conferma esplicita del valore del brand Bertolli, conosciuto in tutto il mondo come espressione di eccellenza della tavola made in Italy.«Sarebbe bello dire sì, siamo interessati a Bertolli. Invece a malincuore rispondo di no. Troppo grande per noi – commenta Enrico Colavita, presidente dell'omonima azienda molisana tra i principali esportatori di extravergine d'oliva negli Usa –. Mi auguro solo che a comprare sia un gruppo italiano e, se per caso non dovesse esserlo, mi auguro che l'acquirente sia bravo come Unilever che sul brand Bertolli ha investito in continuazione». Angelo Cremonini, a.d. di Olitalia, replica: «Bertolli ancorché essere un gran bel marchio, non rientra nei nostri obiettivi, poiché siamo impegnati a promuovere il nostro brand, che esportiamo in 130 paesi».
(AGI) - Roma, 8 mag - Bisogna attivarsi immediatamente perche' Bertolli, il numero uno al mondo tra gli olii d'oliva, torni finalmente in mani italiane. Occorre, pertanto, avviare una cordata nazionale che impedisca che questo marchio prestigioso, oggi proprieta' della multinazionale Unilever, non finisca ancora una volta all'estero. A sollecitarlo e' la Cia-Confederazione italiana agricoltori preoccupata per la presenza sempre piu' massiccia di stranieri nell'agroalimentare del nostro Paese. La decisione dell'Unilever di uscire dai settori dell'olio d'oliva e di semi (oltre a Bertolli, dovrebbero essere messi in vendita marchi come Dante, San Giorgio e Maya) e delle conserve vegetali e delle confetture (Santa Rosa) rappresenta -afferma la Cia- un'importante occasione per riconquistare una fetta di un mercato che parla sempre piu' straniero. Da qui l'invito affinche' vengano utilizzati tutti gli strumenti oggi a disposizione per favorire una cordata tutta italiana, composta non solo da industriali, ma anche da cooperative e da organismi economici agricoli. Non e' certo un'operazione facile, pero' e' indispensabile -sostiene la Cia- fare il massimo sforzo possibile per non dare ulteriore spazio al capitale estero. Sarebbe, invece, opportuno rilanciare un marchio importante tutto "made in Italy". A giovarsene non sarebbe soltanto l'apparato agro-industriale italiano, ma anche il mondo agricolo nazionale che potrebbe valorizzare le sue produzioni di qualita'.(AGI)