Troppo bravi per consentire che producano gelati per un'azienda concorrente
Unilever e la beffa dei lavoratori Algida
L'AltraVoce.net(di Elvira Corona)
«Sentirsi bene, avere un bell'aspetto e una vita piacevole”: sul proprio sito internet, la multinazionale Unilever accoglie così i consumatori, per invitarli ad acquistare i propri prodotti. Ma che vita piacevole potranno avere i dipendenti cagliaritani dell'azienda senza uno stipendio? Da due settimane occupano lo stabilimento di viale Marconi e dal 31 dicembre si ritroveranno senza lavoro, come annunciato dalla lettera di licenziamento recapitata a tutti qualche mese fa.
Se un'azienda va male l'unica soluzione è la chiusura, ma non è esattamente il caso della nota multinazionale ango-olandese, titolare di 23 brand tra prodotti alimentari, cura del corpo e della casa. Roberto Casula, Ganluca Melis, Stefano Sedda, Ignazio Trudu e Maurizio Altea - alcuni dei dipendenti che ieri sera hanno presentato le loro ragioni nella sede del Cagliari Social Forum - confermano la fotografia di un'azienda sana, che in Sardegna produce i gelati Algida e distribuisce i surgelati Findus: un fatturato di circa 90 milioni di euro l'anno, obiettivi di produzione raggiunti e superati, considerata tra i migliori stabilimenti in Italia e in Europa per qualità della produzione, sicurezza sul lavoro e rispetto dell'ambiente.
Ma tutto questo non basta, perché se si possono avere dei margini di profitto più alti, spostando la produzione per esempio in Ungheria - dove la forza lavoro costa molto meno e soprattutto si possono ancora prendere dei finanziamenti europei che in Sardegna non si possono avere più da quando si è usciti dall'Obiettivo 1 - allora la professionalità dei dipendenti e la disponibilità a collaborare per un modello di lavoro flessibile dimostrata negli ultimi anni non valgono nulla. Questa è l'idea che si sono fatti i dipendenti, che non si spiegano altrimenti i motivi della chiusura.
Per le circa 200 persone che ruotano attorno all'azienda di viale Marconi questa chiusura non è accettabile, i numeri non giustificano assolutamente un provvedimento tanto drastico. Ma così non è, anche se l'azienda fa sapere che «dopo una verifica delle condizioni dello specifico mercato, il cui trend si conferma riflessivo e rende sempre più marcate le caratteristiche di sovracapacità produttiva dello stabilimento di Cagliari, nonché l'insussistenza delle condizioni che possano consentire la destinazione del complesso ad altre attività del Gruppo Unilever, ha confermato la decisione di procedere alla chiusura dello stabilimento alla data preannunciata».
Lo scorso luglio, in un incontro con Regione e sindacati al ministero dello Sviluppo economico, i rappresentanti della società avevano assicurato che «Unilever sta attentamente ricercando nuovi soggetti imprenditoriali che possano assicurare allo stabilimento nuove e maggiori opportunità produttive». Le trattative erano in corso, si era detto, e avrebbero potuto concludersi entro settembre. Ma è arrivato dicembre, mancano solo pochi giorni alla fine dell'anno e niente sembra essere cambiato.
La vendita dell'azienda sarebbe una soluzione accettabile anche per i dipendenti, ma i vincoli posti dalla Unilever sono dei macigni per chiunque abbia intenzione di acquistarla. Uno su tutti: quello di vietare la produzione di gelati. L'azienda è intenzionata a portarsi via le macchine, perché brevettate. Impossibile dunque mantenere la stessa tipologia di produzione, ma questo significherebbe buttare all'aria le professionalità che i dipendenti dell'azienda hanno fatto crescere in tutti questi anni.
Secondo Gianluca Melis, che è anche rappresentante del consiglio di fabbrica, «in un primo momento c'erano delle aziende interessate all'acquisto, ma una volta dettate le regole non se n'è saputo più nulla». Tre i nomi che circolavano c'era quello di Sammontana (gelati), ma anche la nostrana 3A era in lizza per un'eventuale acquisto. «Alla Unilever però non va bene che si faccia concorrenza, perché loro sanno bene che è anche la professionalità dei dipendenti a fare la differenza» dice Roberto Casula.
Fondamentale a questo punto appare la mediazione della Regione Sardegna, anche perché - sottolinea Gianluca Melis - «la Unilever ha usufruito di finanziamenti, sgravi fiscali, leggi sulla formazione professionale e quant'altro da parte di Stato e Regione. Ora chiudono e se ne vanno solo perché non possono più prendere niente». La chiusura dell'Algida a Cagliari rientra in un più vasto piano di riorganizzazione aziendale che prevede il licenziamento di 20 mila lavoratori in tutto il mondo nei prossimi 4 anni e la delocalizzaizone di molte fabbriche verso paesi in via di sviluppo.
Dalle istituzioni qualche segnale è arrivato. Il presidente della Regione, Renato Soru, durante una visita all'azienda in occupazione si è detto disponibile a far intervenire la Sfirs almeno per finanziare un ipotetico acquirente e nel frattempo sospendere la mobilità dei dipendenti a favore della cassa integrazione. E anche da Unilever, in un primo momento assolutamente contraria all'ipotesi di sospensione della mobilità, sembra che ora si sia aperto uno spiraglio. Rimane la questione dei vincoli sulla vendita posti dall'azienda, che scoraggerebbero chiunque ad un eventuale acquisto. Nel caso fosse rimosso anche questo ostacolo, i dipendenti potrebbero riunirsi in cooperativa e proseguire l'attività, «anche se noi siamo bravi a produrre, non a vendere: avremmo bisogno di esperti di marketing e distribuzione, da soli non possiamo farcela», dice Maurizio Altea.
Stasera è previsto un incontro nella sede dell'Assessorato regionale al Lavoro e forse proprio da qui arriverà qualche certezza in più. Nel frattempo l'invito da parte dei dipendenti ai consumatori sardi è quello di boicottare tutti i prodotti della multinazionale. Un piccolo segnale, quasi simbolico, ma tutto aiuta.
Unilever e la beffa dei lavoratori Algida
L'AltraVoce.net(di Elvira Corona)
«Sentirsi bene, avere un bell'aspetto e una vita piacevole”: sul proprio sito internet, la multinazionale Unilever accoglie così i consumatori, per invitarli ad acquistare i propri prodotti. Ma che vita piacevole potranno avere i dipendenti cagliaritani dell'azienda senza uno stipendio? Da due settimane occupano lo stabilimento di viale Marconi e dal 31 dicembre si ritroveranno senza lavoro, come annunciato dalla lettera di licenziamento recapitata a tutti qualche mese fa.
Se un'azienda va male l'unica soluzione è la chiusura, ma non è esattamente il caso della nota multinazionale ango-olandese, titolare di 23 brand tra prodotti alimentari, cura del corpo e della casa. Roberto Casula, Ganluca Melis, Stefano Sedda, Ignazio Trudu e Maurizio Altea - alcuni dei dipendenti che ieri sera hanno presentato le loro ragioni nella sede del Cagliari Social Forum - confermano la fotografia di un'azienda sana, che in Sardegna produce i gelati Algida e distribuisce i surgelati Findus: un fatturato di circa 90 milioni di euro l'anno, obiettivi di produzione raggiunti e superati, considerata tra i migliori stabilimenti in Italia e in Europa per qualità della produzione, sicurezza sul lavoro e rispetto dell'ambiente.
Ma tutto questo non basta, perché se si possono avere dei margini di profitto più alti, spostando la produzione per esempio in Ungheria - dove la forza lavoro costa molto meno e soprattutto si possono ancora prendere dei finanziamenti europei che in Sardegna non si possono avere più da quando si è usciti dall'Obiettivo 1 - allora la professionalità dei dipendenti e la disponibilità a collaborare per un modello di lavoro flessibile dimostrata negli ultimi anni non valgono nulla. Questa è l'idea che si sono fatti i dipendenti, che non si spiegano altrimenti i motivi della chiusura.
Per le circa 200 persone che ruotano attorno all'azienda di viale Marconi questa chiusura non è accettabile, i numeri non giustificano assolutamente un provvedimento tanto drastico. Ma così non è, anche se l'azienda fa sapere che «dopo una verifica delle condizioni dello specifico mercato, il cui trend si conferma riflessivo e rende sempre più marcate le caratteristiche di sovracapacità produttiva dello stabilimento di Cagliari, nonché l'insussistenza delle condizioni che possano consentire la destinazione del complesso ad altre attività del Gruppo Unilever, ha confermato la decisione di procedere alla chiusura dello stabilimento alla data preannunciata».
Lo scorso luglio, in un incontro con Regione e sindacati al ministero dello Sviluppo economico, i rappresentanti della società avevano assicurato che «Unilever sta attentamente ricercando nuovi soggetti imprenditoriali che possano assicurare allo stabilimento nuove e maggiori opportunità produttive». Le trattative erano in corso, si era detto, e avrebbero potuto concludersi entro settembre. Ma è arrivato dicembre, mancano solo pochi giorni alla fine dell'anno e niente sembra essere cambiato.
La vendita dell'azienda sarebbe una soluzione accettabile anche per i dipendenti, ma i vincoli posti dalla Unilever sono dei macigni per chiunque abbia intenzione di acquistarla. Uno su tutti: quello di vietare la produzione di gelati. L'azienda è intenzionata a portarsi via le macchine, perché brevettate. Impossibile dunque mantenere la stessa tipologia di produzione, ma questo significherebbe buttare all'aria le professionalità che i dipendenti dell'azienda hanno fatto crescere in tutti questi anni.
Secondo Gianluca Melis, che è anche rappresentante del consiglio di fabbrica, «in un primo momento c'erano delle aziende interessate all'acquisto, ma una volta dettate le regole non se n'è saputo più nulla». Tre i nomi che circolavano c'era quello di Sammontana (gelati), ma anche la nostrana 3A era in lizza per un'eventuale acquisto. «Alla Unilever però non va bene che si faccia concorrenza, perché loro sanno bene che è anche la professionalità dei dipendenti a fare la differenza» dice Roberto Casula.
Fondamentale a questo punto appare la mediazione della Regione Sardegna, anche perché - sottolinea Gianluca Melis - «la Unilever ha usufruito di finanziamenti, sgravi fiscali, leggi sulla formazione professionale e quant'altro da parte di Stato e Regione. Ora chiudono e se ne vanno solo perché non possono più prendere niente». La chiusura dell'Algida a Cagliari rientra in un più vasto piano di riorganizzazione aziendale che prevede il licenziamento di 20 mila lavoratori in tutto il mondo nei prossimi 4 anni e la delocalizzaizone di molte fabbriche verso paesi in via di sviluppo.
Dalle istituzioni qualche segnale è arrivato. Il presidente della Regione, Renato Soru, durante una visita all'azienda in occupazione si è detto disponibile a far intervenire la Sfirs almeno per finanziare un ipotetico acquirente e nel frattempo sospendere la mobilità dei dipendenti a favore della cassa integrazione. E anche da Unilever, in un primo momento assolutamente contraria all'ipotesi di sospensione della mobilità, sembra che ora si sia aperto uno spiraglio. Rimane la questione dei vincoli sulla vendita posti dall'azienda, che scoraggerebbero chiunque ad un eventuale acquisto. Nel caso fosse rimosso anche questo ostacolo, i dipendenti potrebbero riunirsi in cooperativa e proseguire l'attività, «anche se noi siamo bravi a produrre, non a vendere: avremmo bisogno di esperti di marketing e distribuzione, da soli non possiamo farcela», dice Maurizio Altea.
Stasera è previsto un incontro nella sede dell'Assessorato regionale al Lavoro e forse proprio da qui arriverà qualche certezza in più. Nel frattempo l'invito da parte dei dipendenti ai consumatori sardi è quello di boicottare tutti i prodotti della multinazionale. Un piccolo segnale, quasi simbolico, ma tutto aiuta.
11/12/2007
Interpellanza:
LA SPISA Giorgio sulla chiusura dello stabilimento Unilever Italia di Cagliari
Il sottoscritto
Premesso che:- Nel mese di settembre 2007, la dirigenza della multinazionale Unilever, uno dei maggiori produttori mondiali di beni di largo consumo (alimenti, detersivi e cosmetici) ha comunicato alle Organizzazioni sindacali, all’Associazione degli Industriali, alla RSU, la chiusura, al 21 dicembre prossimo, dello stabilimento di Cagliari dove si producono gelati della marca Algida, annunciando l’apertura delle procedure di mobilità per le 82 persone che vi lavorano;- Il tutto rientrerebbe in un progetto di riorganizzazione aziendale su scala mondiale ed europea, secondo un nuovo modello di struttura che è stato denominato “One Unilever”, la cui razionalizzazione prevederebbe il coordinamento di un solo Amministratore Delegato in ciascun paese europeo a cui verrà affidato il compito della gestione dei business locali;- Gli 82 lavoratori a tempo indeterminato e oltre un centinaio di avventizi, da poco meno di un anno hanno iniziato una protesta a oltranza, allo scopo di difendere il posto di lavoro in uno stabilimento, sorto agli inizi degli anni ’60, e che, nel tempo, ha acquisito competenza e capacità al punto da essere annoverato, per stessa ammissione dei dirigenti, fra gli stabilimenti non solo in attivo, ma in forte crescita;- Nel frattempo, sono stati avviati diversi tavoli a sostegno della vertenza, sia a livello regionale, sia nazionale, fra questi, in data 4 aprile 2007, è stato aperto un tavolo alla presenza del sottosegretario alle Attività Produttive, dell’assessore al Lavoro della Regione sarda, i rappresentanti della confederazione sindacale e dei rappresentanti sindacali di fabbrica.- All’apertura del tavolo nazionale, il giorno successivo, è stata programmata una giornata di mobilitazione di fronte al Palazzo della Regione Autonoma della Sardegna.
Considerato che:- Quanto prodotto nello stabilimento di Cagliari è destinato, in gran parte, al mercato nazionale ed europeo, e solo il 4% resterebbe a coprire il fabbisogno regionale;- Quello di Cagliari, inoltre, nell’anno 2000 è diventato uno stabilimento di punta della Unilever con l’introduzione della metodologia di gestione denominata Total Productive Maintenance, che prevede la gestione condivisa delle attività giornaliere, tecniche e operative;- Il fatto che lo stabilimento di Cagliari abbia acquisito il ruolo di pilota nella sperimentazione di prodotti di nicchia, è da attribuirsi soprattutto al bassissimo assenteismo e alla forza lavoro altamente qualificata;- Fra gli anni 2001 e 2006, si è avuto un incremento del rendimento produttivo dall’87,4% al 91,8%, ottenendo il miglior premio per gli obiettivi raggiunti;- Nel 2006, a Cagliari, sono stati prodotti 133 milioni di pezzi rispetto ai 125 milioni previsti nel piano aziendale.
Verificato che:- A seguito della chiusura dello stabilimento isolano, la dirigenza avrebbe avviato una serie di trattative per la vendita del fabbricato ponendo la clausola che i nuovi proprietari non debbano produrre gelati, così da preservare alla Unilever le quote di mercato già acquisite;- Ciò comporterà una serie di problematiche, prima fra tutte, la difficoltà a vendere un capannone attrezzato per produrre qualcosa di diverso dai gelati;- In questo caso verranno messe a rischio le professionalità acquisite che, ovviamente, andrebbero perse qualora il potenziale nuovo acquirente non fosse interessato, o non propendesse, nella vocazione di produrre gelati.
Interpella il Presidente della Regione per sapere:
- Quali iniziative intenda assumere allo scopo di impedire la chiusura dello stabilimento Unilever di viale Marconi a Cagliari.
- Se sia possibile prevedere e, nel caso, attivarsi per programmare una riconversione industriale della fabbrica che possa salvaguardare, se non le professionalità, almeno i livelli occupativi tuttora esistenti.
- Quale sia stato il coinvolgimento del Governo nazionale, in considerazione della natura multinazionale di Unilever
Il sottoscritto
Premesso che:- Nel mese di settembre 2007, la dirigenza della multinazionale Unilever, uno dei maggiori produttori mondiali di beni di largo consumo (alimenti, detersivi e cosmetici) ha comunicato alle Organizzazioni sindacali, all’Associazione degli Industriali, alla RSU, la chiusura, al 21 dicembre prossimo, dello stabilimento di Cagliari dove si producono gelati della marca Algida, annunciando l’apertura delle procedure di mobilità per le 82 persone che vi lavorano;- Il tutto rientrerebbe in un progetto di riorganizzazione aziendale su scala mondiale ed europea, secondo un nuovo modello di struttura che è stato denominato “One Unilever”, la cui razionalizzazione prevederebbe il coordinamento di un solo Amministratore Delegato in ciascun paese europeo a cui verrà affidato il compito della gestione dei business locali;- Gli 82 lavoratori a tempo indeterminato e oltre un centinaio di avventizi, da poco meno di un anno hanno iniziato una protesta a oltranza, allo scopo di difendere il posto di lavoro in uno stabilimento, sorto agli inizi degli anni ’60, e che, nel tempo, ha acquisito competenza e capacità al punto da essere annoverato, per stessa ammissione dei dirigenti, fra gli stabilimenti non solo in attivo, ma in forte crescita;- Nel frattempo, sono stati avviati diversi tavoli a sostegno della vertenza, sia a livello regionale, sia nazionale, fra questi, in data 4 aprile 2007, è stato aperto un tavolo alla presenza del sottosegretario alle Attività Produttive, dell’assessore al Lavoro della Regione sarda, i rappresentanti della confederazione sindacale e dei rappresentanti sindacali di fabbrica.- All’apertura del tavolo nazionale, il giorno successivo, è stata programmata una giornata di mobilitazione di fronte al Palazzo della Regione Autonoma della Sardegna.
Considerato che:- Quanto prodotto nello stabilimento di Cagliari è destinato, in gran parte, al mercato nazionale ed europeo, e solo il 4% resterebbe a coprire il fabbisogno regionale;- Quello di Cagliari, inoltre, nell’anno 2000 è diventato uno stabilimento di punta della Unilever con l’introduzione della metodologia di gestione denominata Total Productive Maintenance, che prevede la gestione condivisa delle attività giornaliere, tecniche e operative;- Il fatto che lo stabilimento di Cagliari abbia acquisito il ruolo di pilota nella sperimentazione di prodotti di nicchia, è da attribuirsi soprattutto al bassissimo assenteismo e alla forza lavoro altamente qualificata;- Fra gli anni 2001 e 2006, si è avuto un incremento del rendimento produttivo dall’87,4% al 91,8%, ottenendo il miglior premio per gli obiettivi raggiunti;- Nel 2006, a Cagliari, sono stati prodotti 133 milioni di pezzi rispetto ai 125 milioni previsti nel piano aziendale.
Verificato che:- A seguito della chiusura dello stabilimento isolano, la dirigenza avrebbe avviato una serie di trattative per la vendita del fabbricato ponendo la clausola che i nuovi proprietari non debbano produrre gelati, così da preservare alla Unilever le quote di mercato già acquisite;- Ciò comporterà una serie di problematiche, prima fra tutte, la difficoltà a vendere un capannone attrezzato per produrre qualcosa di diverso dai gelati;- In questo caso verranno messe a rischio le professionalità acquisite che, ovviamente, andrebbero perse qualora il potenziale nuovo acquirente non fosse interessato, o non propendesse, nella vocazione di produrre gelati.
Interpella il Presidente della Regione per sapere:
- Quali iniziative intenda assumere allo scopo di impedire la chiusura dello stabilimento Unilever di viale Marconi a Cagliari.
- Se sia possibile prevedere e, nel caso, attivarsi per programmare una riconversione industriale della fabbrica che possa salvaguardare, se non le professionalità, almeno i livelli occupativi tuttora esistenti.
- Quale sia stato il coinvolgimento del Governo nazionale, in considerazione della natura multinazionale di Unilever