13 novembre 2008

Unilever, cento posti di lavoro al macero




CAGLIARI. ‹‹Tra un mese e mezzo i cento lavoratori dell’Unilever saranno suil lastrico: non avranno più neanche la cassa integrazione. Quale sarà, da gennaio, il loro destino?››. Se lo chiede il segretario della Fai Cisl Francesco Piras, nel ricordare i disastri provocati da colosso alimentare anglo-olandese che mesi fa ha smantellato lo stabilimento di viale Marconi e mandato a casa dipendenti e stagionali. Nel frattempo, così come assicurato dai vertici, l’azienda continua a cercare un acquirente. ‹‹Siamo molto preoccupati - dice Piras -. Di più: temiamo che, dal primo gennaio, per tutti i dipendenti possa scattare il licenziamento e non abbiamo la certezza che si saranno gli ammortizzatori sociali. Dall’azienda, dopo la firma dell’accordo sulla cassa integrazione, mesi e mesi fa, non sappiamo più nulla. Men che meno abbiamo ricevuto rassicurazioni sul futuro dello stabilimento e, in questo senso, sul prosieguo delle trattative per una possibile cessione a un nuovo imprenditore. Insomma, intorno alla vertenza Unilever è calato il buio più nero››. A riaccendere i riflettori su una questione così delicata, caratterizzata dall’eventualità che cento famiglie si ritrovino in mezzo a una strada, potrebbero essere azioni di protesta clamorose. ‹‹La situazione è gravissima e tesa - avverte Francesco Piras -. Per questo, nei prossimi giorni individueremo le forme di lotta più incisive per riportare all’attenzione delle istituzioni, in primis la Regione, la questione Unilever››. Dal canto loro, la scorsa settimana i sindacati hanno chiesto un incontro con gli assessori regionali all’Industria, Concetta Rau, e al Lavoro, Romina Congera. Ma le sigle di categoria adesso puntano più in alto e hanno l’intenzione di chiedere l’intervento del ministero delle Attività produttive. ‹‹Aspettiamo un segnale dalla Regione - afferma il segretario della Fai Cisl -. Finora, abbiamo assistito alla totale impotenza delle istituzioni nell’individuare una strada percorribile per salvaguardare i posti e riprendere la produzione. Vorremmo sapere se la Regione ha preso contatto con l’azienda, e se ci sono contrattazioni in atto per una cessione degli impianti. Dopodiché, per muoverci e mobilitare i lavoratori non attenderemo di certo la scadenza della cassa integrazione: ancora qualche giorno e riprenderemo a lottare come abbiamo fatto finora››. È chiaro che i sindacati vogliono conquistare diversi punti fermi in queste settimane di novembre, per poi non trovarsi spiazzati a dicembre (a Natale quanti avranno voglia di ascoltare le disgrazie altrui?) e stare ancora peggio a gennaio. «La Regione non può voltarci le spalle», dicono i sindacati. Pablo Sole
«Unilever ci deve 1 milione per i danni»

il Tirreno — 10 giugno 2008 pagina 04 sezione: LUCCA
LUCCA. Undici anni di attesa, lavorando qua e là se andava bene, e versando i contributi all’Inps di tasca propria se andava male. Si capisce perché, da quel 30 marzo 1997 che vide la chiusura dello stabilimento della Bertolli di Sorbano del Giudice, gli otto ex operai che hanno fatto causa alla multinazionale olandese Unilever - proprietaria del marchio Bertolli - non hanno saputo darsi pace. Lunedì 23 la loro richiesta di risarcimento danni all’azienda, quantificabile in 1 milione di euro - una somma calcolata sugli anni trascorsi tra mobilità e disoccupazione - tornerà di fronte al giudice del tribunale del lavoro, che già a ottobre si era espresso per un possibile accordo tra le parti, in verità mai raggiunto. Stavolta però, secondo gli otto ex dipendenti, le voci sulle operazioni in corso della Unilever per la cessione del marchio (si dice sia interessata l’azienda olearia viareggina Salov) darebbero alla loro richiesta un peso specifico diverso. «La notizia della possibile cessione del marchio - dice Pierluigi Fanucchi, l’unico del gruppo a non aver ancora raggiunto la pensione - è la conferma della poco trasparenza dell’operazione che fu fatta 11 anni fa». L’operazione a cui si riferiscono è l’accordo stipulato il 3 marzo ’97 tra i vertici della Unilever e i rappresentanti sindacali, e raggiunto dopo l’annuncio della cessione dello stabilimento di Sorbano. In quell’accordo la Unilever, divenuta proprietaria dello stabilimento solo 3 anni prima, si impegna a «favorire la continuità produttiva nello stabilimento di Sorbano» e a «privilegiare, tra gli eventuali futuri acquirenti, coloro che garantiscano il riassorbimento anche parziale delle liste di mobilità dei lavoratori ex Bertolli». Invece, come dice Fanucchi, «da quel marzo del ’97 non uscì più una bottiglia d’olio da Sorbano». Perciò nel 2001, mentre si barcamenavano con altri lavori, otto ex dipendenti decisero di fare causa. «Quando decidemmo di firmare quell’accordo - ricorda Francesco Mancini, ex sindacalista della Cisl - venivamo da rassicurazioni di ogni genere, sia da parte dell’azienda che dai vertici del sindacato. Un mese dopo l’accordo ci siamo trovati in mobilità. Finiti i 3 anni della mobilità, ci siamo ritrovati senza nulla in mano. Ho dovuto pagare di tasca mia i milioni (di lire, ndr) che mi mancavano per arrivare alla pensione». Continua Paolo Novani: «Se avessi saputo che a Lucca si smetteva di produrre olio - dice - avrei accettato il trasferimento a Milano (dove l’azienda aveva deciso di spostare tutta la produzione, ndr). Ma l’azienda non ha mantenuto le promesse, e soprattutto non ha detto la verità». Matteo Tuccini