9 settembre 2007

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Unilever, il futuro è appeso a un filo


Dal sito della Regione Autonoma Della Sardegna


LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Unilever, il futuro è appeso a un filo


Ancora incerta la trattativa per salvare i duecento occupati dell’azienda
CAGLIARI. L’attenzione è rivolta al 21 settembre. In quella data, infatti, davanti all’Assessore regionale dell’Industria e ai sindacati, l’Unilever comunicherà nome e cognome dell’acquirente dello stabilimento Algida di viale Marconi. Nell’attesa del grande giorno i lavoratori stamattina decideranno, con tutta probabilità, di intensificare la mobilitazione. La posta in palio è alta: non solamente la sopravvivenza di una fabbrica, che da oltre 40 anni opera nel cagliaritano, ma soprattutto la conservazione del posto di lavoro per quasi 200 addetti. La multinazionale anglo-olandese è andata avanti scientificamente nel suo progetto di dismissione. Nove mesi fa ha annunciato di voler sacrificare il sito produttivo sardo, per altro redditizio, sull’altare di un nuovo modello organizzativo, denominato “One Unilever”, che prevede una riduzione degli impianti di fabbricazione dei gelati. In tutto questo tempo l’azienda non ha fatto muro contro. Ha accettato il dialogo con le parti sociali, si è seduta ai tavoli richiesti dalle organizzazioni sindacali. Ma non si è fatta commuovere da niente, inflessibile e metodica verso l’obiettivo di lasciare uno stabilimento che i numeri classificano tra i più competitivi del gruppo in Europa: ottanta lavoratori fissi, tra operai e impiegati; 25 part-time, decine di stagionali. Una forza lavoro qualificata che hanno permesso alla fabbrica di assumere un ruolo pilota nella sperimentazione di prodotti di nicchia. Da viale Marconi escono, infatti, annualmente 150 milioni di porzioni che raggiungono centri commerciali e supermarket di mezza Europa. Grazie a un modello organizzativo semplice e flessibile Cagliari si è specializzata nei test di sviluppo di buona parte dei gelati col marchio Algida. Fra tre mesi questa bella storia industriale potrebbe finire. Unilever ha assunto un solo impegno solenne: individuare, preferibilmente in loco, imprenditori che rilevino lo stabilimento. Con un unico vincolo: chi subentra non deve produrre gelati. Una condizione dettata dalla volontà del colosso anglo-olandese di non perdere quote di mercato lasciandole alla concorrenza. «Un limitazione — dice Francesco Piras, segretario provinciale della Fai-Cisl — che ci condizionerà negativamente almeno su tre aspetti: i possibili acquirenti diventano tantissimi e indeterminati i loro requisiti; non sappiamo che cosa si produrrà nello stabilimento da gennaio; sono a rischio le professionalità dei lavoratori che potrebbero essere disperse se in viale Marconi dovesse arrivare un imprenditore con altra vocazione ». Fino a questo momento hanno manifestato interesse all’acquisto dello stabilimento due gruppi: uno sardo intenzionato a produrvi, sembra, surgelati; l’altro russo per la fabbricazione di integratori per l’industria alimentare. I margini di manovra sono molto ristretti. Più che protestare, manifestare, portare la preoccupazione nelle sedi istituzionali, operai, impiegati e tecnici dell’Unilever non possono fare. I sindacati di categoria — Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uuil — sono riusciti ad attivare l’apertura di un tavolo di confronto anche presso il Ministero delle attività produttive e alla Regione. La rabbia è tanta insieme con la delusione. Particolarmente cocente quella di 25 part-time al quale proprio in questi giorni scade il programma triennale che avrebbe dovuto portarli all’assunzione a tempo indeterminato. Se non ci sarà un miracolo, il loro destino sembra segnato: cassa integrazione e mobilità. «Unilever sostiene di fare della responsabilità sociale un obbligo etico. Lo confermi con i fatti — aggiunge Piras —. Il sentore di questa sensibilità la multinazionale potrebbe darlo rinviando il termine perentorio di chiusura previsto per il 31 dicembre prossimo. Una proroga che favorirebbe la ricerca di un’alternativa valida e duratura». (r.ca.)