23 settembre 2007

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Unilever, in 180 rischiano il posto

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Unilever, in 180 rischiano il posto

CAGLIARI. Fiato sospeso per i 180 dipendenti degli impianti Algida di viale Marconi, in mano al colosso Unilever: per conoscere il loro futuro dovranno attendere la fine del faccia a faccia tra parti sociali e vertici aziendali, in programma stamattina nella sede di Confindustria. «Andiamo nella tana del lupo — hanno commentato i sindacalisti nell’assemblea dei lavoratoti — e già questo ci pare un segnale poco incoraggiante: il 25 luglio, data dell’ultimo incontro con gli uomini della Unilever, avevamo deciso di portare avanti le trattative in sede istituzionale. E invece, è arrivata la convocazione in Confindustria». Una mossa studiata dall’azienda nel tentativo di estromettere la Regione, e liberarsi così da eventuali laccioli istituzionali? «Loro fanno il loro gioco — ha detto Sandro Scalas (Fai Cisl) —, ma il cambiamento di sede deciso a ridosso di un vertice così importante e l’atteggiament “sfuggente” non giova ai fini di un confronto costruttivo. Noi ci batteremo per un pieno coinvolgimento della Regione, con l’obiettivo di assicurare una maggiore tutela dei lavoratori. Prova ne sia il fatto che appena si concluderà l’incontro in Confindustria faremo rotta verso viale Trento e, con l’assessore Concetta Rau, analizzeremo gli esiti della riunione. Punto importante: conoscere il piano di ristrutturazione aziendale che sarà presentato in Confindustria. Solo dopo aver fatto questo passo decideremo la linea d’azione». Che, secondo le parti sociali, dovrebbe culminare con l’istituzione di un tavolo tecnico- istituzionale che coinvolga tutti i soggetti interessati. Obiettivo dichiarato: evitare di perdere anche un solo posto di lavoro. In questo senso le voci sono discordanti: da una parte, voci non confermate parlano di un’imminente chiusura delle trattative per la vendita degli impianti, dall’altra i sindacati rimangono sul chi va là e tendono le orecchie, dopo aver sentito risuonare nell’aria parole come “mobilità” e “licenziamenti”. Da attuare ancor prima della prevista data di chiusura. Ma è tutto da verificare. Nella prima ipotesi, in pole position ci sarebbe una cordata formata da imprenditori sardi leader del settore surgelati. Un requisito di non poco conto, visto che la Unilever ha posto una condizione: via libera alla vendita, ma la produzione dei gelati è bandita. Come dire: meglio chiudere gli impianti — e lasciare 200 persone a casa — che regalare il mercato alla concorrenza. «Saremmo pure orgogliosi se questa azienda che opera senza sosta da quarant’anni e prima della vendita si chiamava Toseroni, finisse in mani isolane. Il problema però rimane la salvaguardia dei livelli occupazionali, perché non è detto che con la nuova linea di produzione, la proprietà decida di mantenere tutti i lavoratori. Su questopretendiamo garanzie ». Appare paradossale che un colosso come Unilever decida di dare una sforbiciata agli stabilimenti e inauguri una campagna licenziamenti mondiale — solo in Europa si perderanno 12mila posti di lavoro, su un totale di 44mila — proprio dagli impianti di viale Marconi. Che nel vecchio continente rappresentano la punta di diamante del marchio anglo-olandese: lo dicono i dati su produzione, flessibilità e qualità dei prodotti, e l’avevano pure confermato i responsabili dell’azienda poco meno di un anno fa. Appena tre mesi prima di annunciare la serrata. Misteri della “real economy”, che chiama i lavoratori “risorse umane”: l’unico capitale di cui si può anche fare a meno.